Davide Omizzolo, classe ’95, è un punto di riferimento a Milano nell’hair styling come costruttore di un’identità estetica non convenzionale
Davide ha iniziato a lavorare all’età di quindici anni, a diciotto va via dal suo paese di origine – Bassano del Grappa – per trasferirsi nella città meneghina. Nel 2021 fonda il suo studio creativo “Halle.Milano” contaminato da influenze artistiche di Berlino, città che ama e da cui prende ispirazione per il nome. Halle è un posto in cui si può essere ciò che si è, e soprattutto ciò che si vuole.
N. Ciao Davide. Prima di iniziare la nostra chiacchierata ti chiederei di parlarci di te. Chi è Davide Omizzolo?
D. In questo momento mi sento una persona molto determinata nella crescita personale e lavorativa e credo che durante la mia esperienza di vita, anche a livello professionale, io abbia bruciato molte tappe. A oggi mi sento un “giovane vecchio”, ho ventotto anni, vivo a Milano da nove e sono uscito di casa molto presto, mi trovo con un’attività già avviata in cui lavorano quattro persone.
Mi sento molto soddisfatto del punto in cui sono arrivato. Sono partito da Bassano del Grappa, un paese in provincia di Vicenza, a diciotto anni, lavoravo da quando ne avevo quindici, quindi ho un po’ velocizzato la mia adolescenza, non ho fatto l’università e a diciassette anni percepivo dei soldi ed ero già entrato nel mondo dei grandi. Ero molto incuriosito da quello che accadeva fuori dall’Italia, per questo quando avevo la possibilità e la necessità prendevo un aereo e partivo. Grazie a questi spostamenti ho imparato tantissimo ed è stata la vita stessa ad avermi insegnato tanto. Questo è Davide Omizzolo.
N. Quando è nata la passione per il tuo lavoro? Hai sempre voluto essere un hairstylist?
D. Credo di aver avuto molta fortuna. Quando mi confronto con ragazzi più giovani, mi rendo conto che hanno ancora dei dubbi su cosa fare della propria vita. Io fin da piccolo ho sempre avuto questa passione per l’estetica e l’hair styling, toccare la materia. Fin da ragazzino guardavo i video musicali di MTV e riproducevo sulle mie amiche le acconciature dei video. Ho avuto dei genitori super cool, sono stato fortunato perché hanno capito fin dall’infanzia cosa volessi fare, passando dal pettinare le Barbie alle persone. Sapevo che questa sarebbe stata la mia vocazione.
N. Nel 2021 hai fondato il tuo studio creativo, “Halle”. In tedesco significa “sala”, ma qual è il significato che attribuisci a questo nome?
D. Nel 2021 eravamo in pandemia, ed è grazie al Covid che ho deciso di fare questo grande salto, senza quell’esperienza forse non avrei fatto questa scelta. Ho sempre viaggiato e la prima volta che sono stato a Berlino, a diciotto anni, me ne sono completamente innamorato. Mio cugino mi ha portato per la prima volta al famoso club Berghain e dopo aver visto la scena underground, oltre alla vita e allo lifestyle di quella città, volevo portare quel mondo nel mio settore, e poi trasportarlo anche nel mio studio.
Se mai avessi aperto una mia attività avrei instaurato quel concept, per questo ho sempre voluto che il nome fosse tedesco. È un po’ più difficile che la gente conosca questa lingua e il mio intento era quello di trovare una persona che una volta varcata la soglia del mio studio si domandasse «Che cos’è Halle?». Letteralmente è “stanza”, ma è anche una parola che identifica un luogo di esposizione d’arte a Berlino, è la hall di un hotel – quindi un posto accogliente –, è uno dei Dancefloor del Berghain. Ecco perché quando ho messo insieme tutte queste cose ho capito che era lui, era il nome che dovevo dare al mio spazio.
N. C’è una frase che racchiude perfettamente l’essenza di “Halle.Milano”: “A Place Free of Context”. Cosa intendi esattamente? Qual è la sensazione che vuoi trasmettere ai tuoi clienti?
D. Il mio obiettivo principale è quello di riuscire a far sentire completamente a proprio agio le persone appena entrano nel mio studio. Ho lavorato molto su me stesso, sul fatto di esser empatico, capire chi ho davanti e la necessità che la persona ha in quel momento. Con “A Place Free of Context” intendo uno spazio che si allontana dall’idea della società in cui stiamo vivendo, una società completamente bombardata da pregiudizi e da domande che ci facciamo sul sentirsi inadeguati. Invece quello che io voglio trasmettere alle persone è la sensazione di abbattere tutti i muri che si sono creati, lasciarsi andare così da riuscire a capire veramente ciò che senti, e non quello che la società impone.
N. Si percepisce in te e nella tua professione un forte senso di famiglia. Cosa rappresenta per te la community di Halle? È un tassello fondamentale del tuo lavoro?
D. Assolutamente. Per me e per le persone che collaborano deve esserci una bellissima energia. Io passo molto tempo in studio e voglio stare bene, così automaticamente stanno bene anche gli altri. Alla fine siamo tutti una famiglia, tutti proviamo dei sentimenti, dei dolori e mi piace creare una comunità di persone che condividano i miei stessi ideali.
N. Come definiresti il tuo stile? E quanto influenza il tuo lavoro?
D. Chi guarda per la prima volta la mia pagina Instagram vede un’immagine molto forte. Io sono abituato, ormai, non ci faccio neanche più caso, mi sembra di fare un lavoro normale. Spesso quando viaggio mi guardo intorno, nel momento in cui entro in un luogo osservo tutte le persone e cerco di prendere ispirazione, anche dalla strada, perché credo che il mistero delle cose crei il grunge. Ed è così che identifico la mia estetica. A orientarmi nel mio lavoro c’è anche il fashion, seguo molto le sfilate, e cerco di prendere pezzi di show e trasportarli nello street style, di creare dei look portabili anche a casa, non troppo fiscali, non troppo precisi, un po’ grezzi, un po’ vissuti.
N. Il tuo taglio best seller?
D. Il mullet. I primi li ho visti quando sono stato a Berlino, indossati solo da personaggi particolari. La prima volta è stato al Berghain, era una modella. Aveva questo hair style pazzesco, non mi sembrava vero su una ragazza cosi bella, perché è un taglio aggressivo, forte, super corto nella parte davanti e super lungo dietro. Chi decide di fare un taglio del genere vuole dimostrare chi è. Desideravo portare questa estetica a Milano, e all’inizio è stato difficile perché poche persone lo capivano. La prima su cui ho realizzato questo taglio è stata una mia amica, Giorgia Andreazza, ero davvero contento, c’era una bella intesa tra di noi, si è fidata. E poi c’è stato un vero exploit di questo stile.
N. Cos’è la creatività per te?
D. Seguire l’istinto, come quando ci sono l’angelo e il diavolo che ti spingono a fare o no qualcosa. Io credo ci si debba buttare, essere coraggiosi e uscire dagli schemi, fare quello che si sente e reagire di pancia. Ritengo che la creatività sia un po’ questo, seguire quello che c’è dentro di noi, senza troppe spiegazioni.
N. Il concetto di bello è fortemente legato al tuo lavoro. Cos’è per te e come lo interpreti?
D. È qualcosa che devi sentire, è una sensazione, è ciò che ti fa stare bene. Credo che la bellezza sia ovunque, se ci si guarda intorno si riesce a vederla. Il bello per me si trova nelle cose semplici, quando provi un’emozione mentre osservi qualcosa.
N. Se dovessi scegliere una persona o un luogo che incarni la tua idea di bello, chi o cosa sarebbe?
D. Sarò ripetitivo, ma la sensazione che provo quando vado a Berlino, di leggerezza, di spensieratezza, di libertà, è inspiegabile. A tratti può essere cupa, ma è una città che trovo molto interessante e molto real. Se devo pensare a una persona ti direi Hunter, la seconda protagonista di Euphoria.
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Photographer @SilvioGiammarco
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