Giuse The Lizia: generazione internet

A pochi giorni dall’uscita del suo secondo album “INTERNET” conosciamo Giuse The Lizia, cantautore e voce delle nuove generazioni 

Classe 2001, Giuse The Lizia ha iniziato ad appassionarsi alla musica fin dalla sua adolescenza. Un periodo fondamentale per la sua formazione musicale che si è consolidata grazie alle influenze stilistiche del cantautorato italiano e del garage rock anni Duemila. I suoi testi raccontano storie reali, quelle vissute in prima persona dall’artista stesso che riporta in musica, come in un diario, le proprie esperienze di vita. La scrittura senza filtri ritrova così equilibrio in sonorità sperimentali influenzate dal passato musicale che ha accompagnato la crescita di Giuse. “INTERNET”, uscito lo scorso 18 ottobre, è il secondo album del cantautore ed è il frutto di più di anno di lavoro, canzoni e sogni. Si apre così un nuovo capitolo per Giuse The Lizia che si vede già proiettato ai prossimi live, la sua dimensione più autentica. 

G. Ho cominciato ad appassionarmi alla musica un po’ come tutti.  Quindi con i primi ascolti in macchina con i genitori, le prime influenze musicali dei fratelli e dei cugini più grandi. Successivamente, durante la mia adolescenza, ho cominciato a sperimentare l’ascolto di generi musicali che più mi entusiasmavano. Intorno ai quattordici anni inizio a suonare la chitarra con la quale, fino ai diciannove anni, reinterpretavo soltanto pezzi di altri, non avendo ancora quella velleità di scrivere cose mie.

Poi, dopo un po’ che suonavo la musica di altri e ho incamerato tutto il loro stile, le loro tematiche e il loro modo di fare musica, ho avuto questa esigenza di provare a scrivere qualcosa di mio. Il periodo del Covid è stato molto prolifico in questo senso perché, per via dell’immobilismo totale della pandemia, ho coltivato più seriamente questa vocazione. Scrivendo tanto su type beat di YouTube ho sperimentato tantissimo. Poi, durante il primo anno di università, è arrivata Maciste, la mia etichetta, che ha reso tutto più tangibile e ad oggi la musica è diventata centrale nella mia vita. 

G. Sicuramente il cantautorato italiano post 2015 come l’indie pop di Gazzelle e Calcutta. Tutta la scuola di garage rock e indie rock anni Duemila (The Libertines, Arctic Monkeys) dalla quale riprendo molti suoni che sono presenti nei miei dischi. È stata importantissima, intorno ai diciassette anni, la scoperta di un certo tipo di rap, abbastanza crudo e spinto, quindi artisti quali Fabri Fibra, Club Dogo e Marracash. Pur ritenendo difficile individuare le principali fonti delle mie suggestioni, va citata anche la musica più recente, come quella di Mac DeMarco e di Joji dalla quale tento di trarre il più possibile. Non mancano le influenze dal cantautorato italiano classico come Lucio Dalla, che è campionato anche nel mio nuovo album, De Andrè, Guccini, De Gregori e molti altri. 

G. Ho notato ultimamente che i processi potrebbero essere di due tipi. Il primo è andare in studio senza idee e quindi mettermi alla prova con il mio produttore Okgiorgio. Partendo da una reference o da una vibe che abbiamo quel giorno cerchiamo di buttare giù tutto in quella occasione. Quindi ispirazioni sia a livello strumentale e di arrangiamento sia a livello melodico e testuale. Nonostante apprezzi questo procedimento che mi fa uscire dalla confort zone, quello che mi elettrizza ancora di più è avere quei momenti d’ispirazione improvvisa, in camera mia e con la mia chitarra. Dunque chiudermi e sapere se quel giorno ho l’ispirazione per concludere una canzone. Lo capisco molto in fretta per cui, accompagnato dalla chitarra, già dopo cinque minuti intuisco se sono ispirato o se quel tentativo non porterà da nessuna parte. 

G. Si, tantissimo. È la cosa che mi viene più facile da raccontare perché mi riguarda e quindi riesco a essere molto autentico. Per me è un po’ la chiave di tutto, ovvero raccontare in maniera non filtrata quello che vivi. Inoltre essendo un ragazzo di ventitré anni che vive in questo presente, ho una vita molto simile a quella di tante altre persone. Dunque si crea un forte legame con chi mi ascolta e si immedesima nelle mie canzoni. 

G. Il disco nasce da una serie di canzoni che si sono unite tra di loro e hanno disegnato un progetto coerente. Abbiamo scelto dei brani che avessero un legame e che rendevano un disco compatto come INTERNET. I pezzi sono nati nel corso di un anno e mezzo, quindi c’è stato un lungo periodo di assimilazione e di creazione. Le tematiche presenti fanno parte del mio vissuto, come dicevo in precedenza, dunque le mie esperienze di rapporti umani, quelle rispetto a me stesso e alle mie ansie e paure. L’ansia perenne di avere vent’anni non sapendo cosa fare nella vita e le esperienze sentimentali sono i focus principali dell’intero disco.

Tutte queste suggestioni si sviluppano sullo sfondo di internet, nel quale viviamo immersi. Qualsiasi nostra azione come rapportarsi, scriversi con gli altri, informarsi, guardare un film passa dal filtro dei social e dell’internet, appunto. Quest’ultimo quindi ci è sembrato quel filo rosso che univa tutte le storie che racconto nelle canzoni, oltre che essere una parola molto generazionale. Come sound continuo a mixare quegli stili che mi hanno sempre influenzato come il cantautorato, le chitarre elettriche e un po’ di rap. Ma partendo da queste vibes ho tentato di fare qualcosa in più. Quindi cercare una determinata cura nell’arrangiamento, nei testi e nel dire cose meno scontate o semplicemente cose che non avevo mai detto. 

G. Sono tanto legato a “Radical” perché ha segnato l’inizio di un qualcosa di nuovo, un passaggio al livello successivo. Sono molto fiero di tutti i brani di INTERNET ma quella che emotivamente mi coinvolge di più è “Persi da un po’”. È la canzone che chiude il disco ed è forse la più intima e la più vera di tutte. Racconta tanto di me stesso in maniera molto introspettiva. 

G. Passo molto tempo sui social come consumatore e ci vedo tanto di positivo a livello di intrattenimento e di quello che ci puoi trovare. Se sai cosa cercare, ti offre tanto. A livello operativo e quindi di chi produce e deve sponsorizzare, ho un rapporto più faticoso. Anche dietro un semplice Tiktok o un post di Instagram ci sono comunque delle strategie che dovrebbero essere seguite. Pensieri di programmazione che non sono affini a me in quanto persona iper disorganizzata.

Fortunatamente ho delle persone che lavorano con me e che mi permettono di utilizzare i social in maniera produttiva. L’altra faccia della medaglia è l’impossibilità di fare musica senza sfruttare i social che sono la vetrina di qualsiasi artista, in qualsiasi ambito creativo. Probabilmente questo potrebbe essere un limite per chi fa bella musica ma magari non ha quella capacità di sfruttare al meglio e farsi conoscere attraverso i social. Fra le cose positive va sicuramente considerato il riflesso, per cui se non esisti sui social non esisti nella vita, forse, soprattutto a livello artistico. 

G. Mi piacerebbe fare date importati. La data più grande che puoi immaginare, io la vorrei fare perché la mia dimensione è quella dei live. Quando suono realizzo che tutto il percorso fatto fino a quel momento ha avuto un senso. Nella vita un sogno che ho è quello di essere “tranquillo”. Quindi non avere particolari rimpianti o particolari ansie e arrivare ad un’età in cui potrò dire “sono soddisfatto, non mi recrimino niente”. 

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Nov 5, 2024

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