Il second hand trova, ora, sostenitori tra le fila di imprenditori, ecologisti, genitori esasperati dagli armadi traboccanti dei propri figli e insaziabili fashion victim.
È ormai assodato. Vintage is the new black, puoi utilizzarlo in ogni occasione e ti rende interessante. Il reselling è il nuovo meteo, è il tema giusto per ogni conversazione e si adatta perfettamente a qualsiasi interlocutore. Che tu abbia davanti un’illustre insider del settore moda, un indefesso ambientalista, un acclamato divo di Hollywood o il più comune degli esseri umani, non c’è argomento più condiviso di quello sul second hand.
Eppure, non molto tempo fa, prima che gli stand dell’usato scalassero la vetta di palazzo Rinascente, tutto era diverso. Allora, se avessi voluto accaparrarti un paio di Levi’s 501 Original, quelli con le ginocchia sformate e le cuciture consumate, avresti dovuto percorrere lunghi cunicoli bui e polverosi e scavare a mani nude tra cumuli di camicie ingiallite e infeltrito intimo militare. Solo così avresti provato l’immensa gioia di acquistare, a poche decine di euro, il jeans più bello della tua vita. Potevi identificarti come parte di una subcultura, fondata e rappresentata con onore da chi, per amore di un capo, avrebbe persino accettato di esalare naftalina. Potevi sentirti Paloma Picasso, quando, al semaforo, qualcuno riconosceva la tua giacca nera YSL. Presumibilmente collezione The Scandal Collection del 1971, trovata al mercato americano dopo ore di sfiancante caccia al pezzo raro.
La frangia hard-core degli estimatori dell’usato ha, tuttavia, sempre convissuto pacificamente con l’ala bon ton degli appassionati del monde d’antan dell’abbigliamento. Questi non amando la lotta all’ultima rinite allergica, preferivano reperire i preziosi articoli, già opportunamente tirati a lucido, in piccole boutique di nicchia. Spesso queste boutique erano nascoste in qualche anfratto sconosciuto del centro storico, acconsentendo all’idea di spendere qualcosa in più. Poi tutto è cambiato. È arrivato Fedez, voce nello spot della celebre piattaforma Vestiaire Collective, a dirci che lo stile di Miss Classique va terribilmente di moda. Improvvisamente mia nonna è diventata cool (anche se io l’avevo sempre pensato)! E sui cartellini dei capi vintage la virgola del prezzo si è spostata verso destra.
Il second hand trova, ora, sostenitori tra le fila di imprenditori, ecologisti, genitori esasperati dagli armadi traboccanti dei propri figli e insaziabili fashion victim. Ognuno con un personale movente, ognuno con un proprio obiettivo. Gli economisti ci spiegano che il mercato dell’usato frutta guadagni destinati a triplicarsi nel brevissimo periodo. Con un valore attuale di 120miliardi ed una prospettiva di crescita del 20-30% l’anno, si stima che il settore del second hand possa raggiungere i 350miliardi di dollari entro il 2027, posizionandosi tra gli investimenti più sicuri. Specialmente con l’on-line, che porterà abiti e accessori pre-loved nelle case non solo di gen Z e Millennial, ma anche di un’ampissima varietà di nuovi acquirenti. Negli Stati Uniti, il 52% della popolazione ha comprato abbigliamento di seconda mano nel 2022. Infatti, studi affermano che il prossimo anno la metà dei capi venduti verrà acquistata su siti di re-selling.
Il mercato del vintage registra importanti successi anche grazie alle recenti politiche ecologiste, volte alla sensibilizzazione del consumatore finale ed alla regolamentazione dei processi produttivi in materia di sostenibilità. Vallo a spiegare a mia nonna che è trendy grazie al riscaldamento globale. Eppure è così. Il cambiamento climatico ha confermato il fallimento del nostro modello di consumo, tanto da obbligarci ad un cambiamento di rotta. Secondo un rapporto dell’Onu, la moda è responsabile di una quota tra l’8% e il 10% delle emissioni globali di CO2, ovvero tra 4 e 5milioni di tonnellate all’anno. Il 70% dei tessuti utilizzati nella produzione è composto da derivati del petrolio che, liberandosi nell’ambiente, inquinano suoli e acque. L’1% viene riciclato, il restante finisce nelle discariche. Come quella nel Ghana, dove ogni settimana arrivano circa 15 milioni di indumenti, la maggior parte dei quali provenienti da scorte di magazzino, rimaste invendute.
Ma l’appeal del second hand non viene nutrito esclusivamente da attenti economisti e da integerrimi ambientalisti. Il business del re-selling guadagna stabilità anche con l’aiuto di tanti privati. Infatti stanchi del capo di tendenza della collezione appena passata, trovano nella piattaforma di e-commerce l’alleata perfetta del proprio consumismo. La possibilità di una rivendita quasi immediata di capi praticamente nuovi, infatti, consente loro di poter reperire i fondi, necessari all’acquisto dell’ultimo must have. Potrebbe, quindi, uno strumento come quello del re-selling, in linea di principio virtuoso, divenire l’ennesima fonte di alimentazione di una società orientata esclusivamente al guadagno economico?
Assoggettata alle aride logiche di profitto, l’acquisto del vintage perde il suo più autentico significato. Nella frenesia della rivendita, infatti, si dimentica che quello che maggiormente determina il valore di un capo pre-loved non è il prezzo applicato, né il suo indice di reperibilità sul mercato. Ciò che rende l’oggetto davvero prezioso è il tempo.
Mentre i grandi sistemi manipolano il settore, impadronendosene, piccole realtà sembrano resistere all’avanzata, offrendoci ancora la possibilità di vivere la vera esperienza di acquisto del second hand. Nella provincia di Pavia, a Belgioioso, un castello trecentesco ospita ogni anno una delle più grandi esposizioni di moda vintage in Italia. Stiamo parlando del Next Vintage, che ad ogni edizione, gli eleganti saloni della residenza accolgono emanazioni della bellezza di ogni epoca. Pezzi di storia che, sfuggiti all’abbandono, ci fanno riscoprire l’importanza dell’unicità ed il fascino del passato.
Rimane soltanto da chiedersi in quale misura il sempre maggiore interesse per il mercato del re-sale ne distorcerà i connotati? E soprattutto, data l’oceanica espansione, in che modo il settore riuscirà a proteggere la propria esclusività? In fondo la legge parla chiaro: all’aumentare della richiesta di un bene, il prezzo aumenta. Quindi, per quanto ancora l’accesso al vintage sarà consentito alla maggioranza degli appassionati?
Per ora, visto che presto anche quei vecchi 501 sdruciti verranno probabilmente valutati secondo il gold standard, confidando nella ciclicità delle tendenze, a noi non resta altro che applicare il vecchio consiglio, il solito che riecheggia ad ogni cambio di stagione: tienilo nell’armadio, che prima o poi torna!
Photo courtesy Next Vintage.