Demi Moore perde agli Oscar: Hollywood si piega al conformismo 

Con la cerimonia degli Oscar tenutasi qualche giorno fa la stagione dei “premi” 2025 si è conclusa ufficialmente. La vincita della statuetta da parte di Mikey Madison a discapito della favorita Demi Moore ha reso reale la trama distopica di “The Substance”. Il conformismo conquista Hollywood confermando il sempre più tangibile appiattimento culturale a livello globale

Gli Oscar per il cinema internazionale rappresentano un momento di celebrazione dell’industria e un riconoscimento meritocratico (almeno si spera) per tutti gli addetti ai lavori. Ma la cerimonia è anche la testimonianza dell’evoluzione sociale e culturale in atto. Volendola paragonare ad un’evento televisivo italiano si potrebbe affiancare al nostro Sanremo con cui, proprio quest’anno, condivide uno spirito di “restaurazione”. Se nella kermesse musicale italiana non si è lasciato spazio all’intrattenimento più puro, agli Oscar i premi più importanti sono stati assegnati a pellicole “sicure”.

Riconosciamo il grande merito di Sean Baker che con Anora si aggiudica ben 4 statuette che vanno a premiare difatti il nuovo cinema indipendente. Un record dal sapore dolce amaro che, attraverso una finta spinta innovativa, nasconde un conformismo sempre più incalzante. Anora, con una trama senza orpelli che ricorda una “Pretty Woman 2.0, vince sopra il monumentale “The Brutalist” e il coraggioso “The Substance”, unico outsider dell’edizione. Dalla lista finale dei nominati infatti sono stati eliminati a priori film che sul grande schermo hanno riportato tematiche politiche e sociali importantissime per il nostro presente. Un’esempio è “La stanza accanto” di Pedro Almodòvar che con grazia ci mette difronte ai dilemmi morali legati all’eutanasia. Una tematica che repelle l’aberrante classe politica reggente sia negli Stati Uniti che nella nostra penisola.

Gli Oscar non rischiano e per le tensioni globali si pensa abbiano escluso dalla “competizione” anche Angelina Jolie per via della sua umana vicinanza al popolo palestinese. Se la performance della Jolie nel film “Maria” è stata, nonostante tutto, acclamata da tutta la critica, non è da meno l’Elisabeth Sparlke di Demi Moore. Data per favorita fin dalla sua vincita del Golden Globe a gennaio, l’attrice si è vista soffiare il premio più importante della stagione dalla giovane Mikey Madison per la sua Anora. In un attimo la trama di “ The Substance” diventa reale e ci apre gli occhi su una realtà culturale sempre più piatta in cui la bellezza e la giovinezza sono gli unici elisir del successo.

Sebbene la talentosa Madison abbia portato a casa una performance dignitosa, il suo ruolo risulta essere privo di tridimensionalità. Uno stereotipo rinnovato di una ribelle sex worker che insieme al suo amore impossibile va alla ricerca di un sogno americano ormai divenuto polvere. Senza dubbio un film libero ma che non potrebbe mai reggere il confronto con il coraggio visivo e concettuale di una pellicola come “The Substance”. Oltre alla grande maestria della regista Coralie Fargeat Demi Moore ci regala la vera performance dell’anno mettendosi a nudo distruggendo la propria identità.

L’attrice ci trasporta in una realtà distopica attraverso la fragilità di una donna di successo condannata dall’ageismo di uno star system sempre più malato. Questa tossina sociale porta il corpo della protagonista a decomporsi e trasformasi in una ricerca disturbante dell’eterna giovinezza. Dinamiche alienanti che hanno coinvolto in prima persona Demi Moore stessa, rassegnatasi ad un’eventuale fine della propria carriera. Il finale grottesco e la scena cult dello specchio coinvolgono il pubblico su due piani emotivi. La repulsione verso il mostruoso e l’empatia condivisa verso una persona che rifiuta il proprio riflesso, influenzata da canoni estetici sempre più irraggiungibili.

Attraverso le citazioni estetiche di Kubrick e Cronenberg, passato e futuro si annullano nelle ambientazioni, nei mezzi di comunicazione e nel linguaggio delle protagoniste. Coralie Fargeat sceglie un “non-tempo” per accentuare quanto le problematiche legate al corpo delle donne non appartengano a un epoca definita, reale o immaginaria che sia. Gli Oscar portano nel presente questa critica sociale rendendola di fatto realtà. La virtù della bellezza appena nata trionfa sull’autenticità di un ruolo che ha già segnato la storia del cinema. Così come Elisabeth Sparkle, Demi Moore non ha avuto il suo gran finale confermando che la società denigrante di “The Substance” è la nostra. 

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Mar 6, 2025

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