Durante la frenesia del fashion month Zara lancia la capsule collection realizzata da Stefano Pilati. L’ennesima collaborazione tra fast fashion e mondo del lusso che mette in discussione la vera essenza di quest’ultimo
Da Parigi ai fiumi inquinati dell’India. Stefano Pilati ritorna sotto i riflettori mainstream grazie alla sua collaborazione con Zara. La capsule collection, annunciata un mese fa e già disponibile all’acquisto, rappresenta a pieno il gusto cosmopolita e ricercato dell’ex direttore creativo di Saint Laurent. I look, sia uomo che donna, comprendono capi spalla in vera pelle arricchiti da occhielli in metallo, giacche doppiopetto e camicie dal sapore sartoriale.
E ancora maglieria classica, coordinati a pois e mini borse in pelle singole o concatenate fra loro. Una collezione commerciale e senza pretese che rispecchia la visione di Pilati mitigata, ovviamente, dall’esigenze del fast fashion. Perché, nonostante la presenza di uno dei nomi più celebri e blasonati del fashion system, la capsule resta il frutto di un’industria il cui fatturato è più importante della salute del pianeta. Ma non solo, tutti i capi sono stati realizzati fra il Marocco, la Cina e l’India. Luoghi in cui le condizioni dei lavoratori non rispettano le norme vigenti nell’unione europea. Dei “Made in” controllati, secondo la descrizione del brand, ma che non coincidono con i prezzi proibitivi della capsule e con i valori essenziali del lusso.
Cosa porta dunque un direttore creativo attivo proprio nel mondo del lusso a collaborare con un colosso fast? Il dio denaro non è una giustificazione esaustiva, ma sicuramente resta la più plausibile. Il nome di Stefano Pilati passa così dall’essere affiancato a brand come Ermenegildo Zegna e Saint Laurent a Zara. Una tendenza già vista in passato con le viralissime collaborazioni di H&M con Mugler, Moschino e Kenzo. Collezioni dal forte impatto commerciale e visivo ma con diverse problematiche. La qualità e l’attenzione artigianale che contraddistingue la produzione del lusso non risulta applicabile a queste mega collaborazioni che devono rispettare un target price medio-basso.
E così le grandi maison, o nomi illustri, “piegandosi” a questo sistema riducono di fatto la propria esclusività, caratteristica fondamentale che sta alla base del concetto stesso di “lusso”. Il fast fashion ha cambiato per sempre il mondo della moda e la percezione che abbiamo dell’esperienza d’acquisto. La collaborazione di Stefano Pilati è soltanto l’ennesimo sintomo di un’industria stanca e in preda al caos, in cui i creativi vengono spostati come pedine in un cinico gioco commerciale. Unicità e prestigio si perdono così in questo sistema capitalistico in cui il lusso si piega al fast fashion mentre quest’ultimo accresce il proprio potere.