Le Tabi, in tutti le loro declinazioni, costituiscono un vero e proprio emblema di Maison Margiela. Introdotte dal fondatore nella sua collezione di debutto, da allora accompagnano la storia della Maison. Oggi, Maison Margiela ci racconta la loro fabbricazione, e celebra queste calzature iconiche con una serie da collezione dedicata
Nel 1988 un giovane designer belga, poco più che trentenne, fonda la propria Maison e debutta con una sfilata al Café de la Gare di Parigi. Si tratta di Martin Margiela, uno dei creativi più visionari e controversi che ha segnato indelebilmente il mondo della moda dalla fine del secolo scorso. Quella sfilata di debutto, nell’ormai lontano 1988, non lanciò solo il nome di Margiela ma anche alcuni motivi iconici della maison.
Le modelle sfilarono con il volto coperto, elemento che ha accompagnato la storia del marchio fino al recente debutto di Glenn Martens a luglio. In quella stessa collezione debuttarono anche i Tabi Boots, che costituiscono uno degli elementi più rappresentativi di Margiela. A lungo apprezzate solo da una nicchia avanguardista di insider del mondo della moda, negli ultimi anni le Tabi hanno visto un notevole aumento di popolarità. Ciò è stato possibile anche grazie all’avvento dei social media e all’insorgere del trend dell’ugly-chic.
A Tabi Film: un racconto della maestria artigianale che si cela dietro le Tabi
Finora, il processo di creazione di queste calzature è stato circondato da un’aura di mistero e custodito con cura tra le mura della Maison. Ora, invece, le Tabi sono protagoniste di un documentario dedicato, pubblicato proprio oggi dalla Maison. Il documentario, della durata di tre minuti, è realizzato sotto la direzione di Yuri Ancarani. L’artista e regista italiano noto per produzioni come “Atlantide” (2021) o la trilogia “La radice della violenza” (realizzata dal 2014). Il breve film mostra il processo con cui è fabbricata la calzatura.
Nella narrazione è intrecciato anche un video d’archivio di momenti centrali nella storia delle Tabi. La fabbricazione richiede il savoir-faire di undici artigiani, e si articola in alcune fasi-chiave. La preparazione della base può richiedere fino a quattro ore di tempo. Seguita poi dalla creazione dello stampo che è ricavato da un unico blocco di legno. Si passa poi a taglio e cucitura e, infine, all’assemblaggio finale.
Maison Margiela celebra i modelli iconici introducendo la Tabi Collector’s Series
Il lancio del docu-film è stato accompagnato dall’annuncio della Tabi Collector’s Series. Si tratta di una reinterpretazione annuale dei modelli più rappresentativi e iconici di queste calzature ideati dalla Maison negli anni. La collezione è inaugurata con la Tabi Broken Mirror Embroidery, ispirata dal trattamento Broken Mirror introdotto per la prima volta nella collezione Artisanal Fall/Winter 2015. Il modello, disponibile in edizione limitata di soli 25 esemplari, è realizzato applicando alla pelle dello stivaletto uno strato di lattine con copertura in argento, che assume un aspetto a crepe rivelando il materiale sottostante. Gli stivaletti sono decorati a mano con oltre ottomila gemme di vetro, dettagli metallici e lustrini. I diversi frammenti, trattati in maniera individuale, formano delicate gradazioni che ricreano l’effetto ossidato di uno specchio rotto.
Una storia che va indietro nei secoli
Nonostante Martin Margiela è stato il responsabile della consacrazione delle Tabi nel mondo della moda, l’idea per queste calzature deriva in realtà da un fenomeno vicino all’appropriazione culturale. La Tabi nasce infatti in forma di calza, e la sua storia ha origine nel XV secolo nel paese del Sol Levante. Si trattava di calzini con una spaccatura pensati per adattarsi ai tipici sandali giapponesi con la forma a infradito: i sandali Geta. Si tratta di sandali con la piattaforma di legno che dava un rialzo, o gli Zori, con suola bassa e fabbricati in cordame. Il colore della calza fungeva da indicatore delle gerarchie sociali. I nobili indossavano il viola o l’oro, mentre la classe operaia portava il blu o il bianco.
I samurai potevano indossare qualsiasi colore, a eccezione delle nuance riservate alla casta nobiliare. Fu solo dopo secoli che le Tabi si evolvettero in vere e proprie calzature, grazie all’imprenditore Tokujirō Ishibashi. Fu lui a ideare gli stivaletti Jika-Tabi, aggiungendo alla calza una suola in gomma e delle chiusure metalliche.
Le Tabi fecero poi il loro ingresso nel mondo occidentale nel 1951, quando Shigeki Tanaka vinse la maratona di Boston indossando le sneaker Tabi di Onitsuka (oggi Asics). Da quel momento, in diversi tentarono di proporre modelli di Tabi per lo sport, senza però grande successo. Quando furono introdotti da Margiela, ispirato da un recente viaggio in Giappone, nella sua collezione di debutto, i Tabi Boots riscossero opinioni contrastanti. A lungo furono apprezzate solo da una nicchia di insider della moda, ma con gli anni la loro popolarità si è diffusa anche all’interno di un pubblico più vasto.
Nei decenni, i modelli di Tabi proposti dalla Maison si sono moltiplicati. Si va dalla ballerina classica in pelle nera, a quella con l’emblematico effetto craquelé, proposto anche per lo stivaletto e altri modelli. Vi sono poi le Mary Jane in cuoio nero, proposte anche in PVC trasparente, e i mocassini con diverse varianti. Oppure, i Laser Cut Pumps, realizzati i pelle o in suede anche chiara. Le varianti sono innumerevoli, e ve ne sono altre proposte anche da differenti brand – tra cui Prada e perfino Nike. Tuttavia, esse rappresentano a tutti gli effetti Margiela, rispetto a cui assumono un valore testamentario simboleggiando il lascito di un designer capace di introdurre innovazione e visione in tutte le sue creazioni.


