Conosciamo Thomas Zangaro, giovane designer e fondatore del proprio studio omonimo, una realtà dedita all’arte e all’innovazione progettuale
Thomas Zangaro rappresenta una delle giovani voci più interessanti nel panorama del design Made in Italy. La sua passione per le arti visive lo ha portato negli anni a sviluppare una visione chiara e contemporanea della progettazione d’interni e del product design. Lo spazio in cui ci accoglie (il suo studio omonimo) è metafora tangibile della sua estetica; confortevole, anticonvezionale e innovativo. Non solo un ambiente lavorativo ma un vero e proprio punto di riferimento per diverse realtà artistiche e creativi di ogni genere.

A. Ciao Thomas! Come nasce la tua vocazione per il design?
T. Sin da piccolissimo sapevo che avrei fatto un lavoro legato all’arte o all’architettura e proprio per questo motivo ho iniziato i miei studi partendo dal liceo artistico. Durante questa prima esperienza formativa, grazie al mio professore di architettura, ho capito che la parte legata agli interni e al design era quella che mi appassionava di più. Mi ritengo molto fortunato in quanto ho avuto da sempre le idee molto chiare e così ho continuato il mio percorso al Politecnico. Una scelta vincente per la mia preparazione tecnica che ho affiancato poi ad una necessità personale di ricercare nuovi stimoli creativi. L’ approfondimento e la conoscenza di diversi punti di vista mi hanno avvicinato definitivamente a questo mondo.

A. Ci sono state figure, designer o realtà che ti hanno spinto ad intraprendere questo percorso?
T. Sicuramente la Bauhaus è una realtà che mi ha sempre affascinato, nonostante abbia pro e contro. Apprezzo molto il loro studio metodico, la separazione delle discipline e le analisi molto dettagliate di tutte le sfaccettature legate alle forme e agli abbinamenti. Trovo interessante anche l’approccio al mondo della grafica vista sotto forma di prodotto o di interno. Un’analisi metodica che appartiene anche al nostro studio in quanto cerchiamo di gestire la creatività in maniera organizzata. Dopo le prime fasi più “libere” di brainstorming cerchiamo subito di darci delle regole e poi dei percorsi da intraprendere.

A. Thomas Zangaro Studio è uno spazio multiforme in cui si dà voce a nuove e stimolanti realtà artistiche. Ci parleresti della sua evoluzione trasversale?
T. Ho iniziato questo percorso da solo, circa dieci anni fa, come libero professionista e lavorando per diversi studi. Ho sempre avuto il desiderio di avere un mio spazio che non fosse soltanto un luogo di lavoro in cui accogliere clienti, ma una realtà dalle mille sfaccettature. Dopo un breve periodo passato in un piccolo studio, lontano dalle nostre esigenze e dai nostri gusti estetici, finalmente abbiamo trovato un luogo che potesse rappresentarci. Lo spazio in cui ci troviamo oggi è stato il primo che ho individuato e, nonostante avesse un aspetto completamente diverso, ho capito subito che nascondeva un altissimo potenziale. E così sotto i rivestimenti di un laboratorio di gelateria abbandonato abbiamo fatto emergere l’estetica che più rappresentava Thomas Zangaro Studio. L’idea alla base di questi spazi è il concetto di “casa” in cui accogliere diverse realtà artistiche e viversi liberamente anche il tempo fuori dall’orario lavorativo.

A. Il tuo studio si trasforma nel “Finesettimana”, un evento espositivo arrivato alla sua seconda edizione in cui la tua creatività si fonde con quella di altri artisti. Come nasce l’idea di questo progetto?
T. Dopo un primo anno di re-styling, decidiamo di aprire le porte a tutti attraverso il progetto “Finesettimana”. Come si può intuire, durante il week-end, lo studio si apre e ospita attività principalmente legate all’arte, al design e alla fotografia. A partire dal giovedì pomeriggio fino alla domenica sera gli spazi lavorativi diventano contenitori per qualsiasi esposizione o disciplina creativa. Abbiamo inaugurato il progetto lo scorso anno durante l’Art Week con Galleria Susanna Orlando e Susana Canosa, artista spagnola protagonista della mostra. Dopo il successo della prima edizione, siamo ritornati quest’anno ospitando Galleria Maiocchi 15 con l’artista Rami Lazkani, aprendoci inoltre anche alla Design Week. Il progetto “Finesettimana” continua ma ci piacerebbe promuoverlo per una cadenza più assidua, nonostante la sua complessità organizzativa.

A. Le tue ultime collaborazioni, presentate durante l’ultima Milano Design Week, sono nate dall’incontro con Acquasanta e Tremolada. Ci parleresti dei prodotti che nascono da questi due sodalizi?
T. Abbiamo iniziato con Acquasanta che è una breccia, una pietra millenaria che si può estrarre da un’unica cava nelle zone di Pietrasanta. La sua particolarità è una pigmentazione molto rosea che lascia intravedere tutte le stratificazioni temporali della montagna. Insieme a Umberto, che ci ha presentato il suo progetto e la sua cava, abbiamo deciso di creare qualcosa di nuovo. In collaborazione con tutto il team siamo giunti alla creazione di due oggetti Collectible utilizzando questo materiale in maniera differente. L’obbiettivo principale infatti era quello di trattare il marmo attraverso lavorazioni meno rigide, plasmandolo dunque come un materiale liquido. Da quest’idea nasce Fluid Boundaries, in cui il marmo assume delle forme dispotiche e contraddittorie rispetto a ciò che siamo abituati ad osservare. La lastra piatta di marmo assume tridimensionalità attraverso queste figure liquide che si incontrano ma non si uniscono mai, un po’ come l’acqua e l’olio.
Con Tremolada invece, con cui abbiamo già realizzato tantissimi divani per i nostri clienti privati, abbiamo deciso di creare un progetto che potesse essere presentato a tutti. Riprendendo i tratti fondamentali delle nostre creazioni, ovvero bellezza, confort e vivibilità, siamo giunti alla progettazione di un divano che ti invogliasse ad utilizzarlo. Lo abbiamo chiamato Layered Ease perché ti racconta tutti gli strati che lo compongono e che di solito sono coperti dal tessuto. Sono visibili infatti le parti in legno, quelle in poliuretano che sorreggono la struttura e poi per ultimo una parte in piuma che rende la seduta molto confortevole. Inoltre tutti gli elementi sono separati, per cui il divano potrà assumere tutte le forme che più si desiderano. Mi piace definirlo un divano “casual”.

A. Come giovane designer hai trovato difficoltà nella realizzazione dei tuoi progetti più sperimentali in una realtà legata fortemente alla tradizione?
T. Si, ma se hai un’idea ben precisa e la porti avanti con decisione, sicuramente qualcosa ti verrà restituito. È un mondo legato a ideologie molto tradizionaliste e chiuse all’interno di processi o grandi nomi e metodi di progettazione accademici a volte superati. Penso comunque che pian piano queste barriere si stiano abbattendo nonostante, ancora oggi, riscontri in prima persona delle limitazioni. Prima fra tutte la mia età anagrafica in quanto l’intero settore è molto legato all’esperienza; un bagaglio che ritengo importantissimo ma che non rappresenta l’unico metro di valutazione per un professionista. Dunque, in un mondo legato ai titoli, interfacciarsi con gli altri come figura giovane resta un’impresa difficile ma non insuperabile.

A. Cosa ti immagini nel futuro prossimo del tuo studio?
T. In futuro mi auguro di sviluppare un approccio sempre più aperto a diverse progettazioni e dunque non concentrarmi più esclusivamente sugli interni, come ho fatto negli ultimi dieci anni. Mi piacerebbe andare avanti e sperimentare sempre di più in tutti i campi legati anche al prodotto e all’exposition design che reputo un ambito molto aperto alla creatività più libera. Non escludo la possibilità di avvicinarci anche alla progettazione legata all’hotellerie, dove gli interni assumono un valore del tutto diverso. In questo caso infatti l’estetica di un ambiente diventa un’esperienza immersiva, una caratteristica che ho ritrovato anche nelle diverse exhibition dell’ultimo Salone del Mobile. L’hotel in quest’ottica rappresenta la sintesi creativa perfetta e la sua progettazione a 360°, in cui ogni dettaglio conta, potrebbe rappresentare uno dei nostri obbiettivi futuri.
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Photographer Matteo Galvanone