Art

Chiamami col mio Nome: messa a fuoco sull’identità di genere. 

Patrocinata dal Gruppo Tod’s, la mostra è un’opportunità di riflessione su temi cruciali come l’identità, la psiche e l’inclusione sociale.

Il Museo d’Arte Contemporanea di Milano, noto come PAC, ospita la mostra “Chiamami col mio Nome,” parte del progetto “Ri-scatti” organizzato dall’Associazione Ri-scatti ODV. Questa esposizione è un toccante viaggio attraverso le storie e le identità di sedici persone  transgender e non-binary che hanno avuto l’opportunità di seguire un corso di fotografia offerto da Ri-Scatti ODV, e raccontarsi attraverso le immagini. 

Photo Logan Andrea Ferrucci.

Accettare e accettarsi : un percorso ad ostacoli 

Le fotografie esposte in “Chiamami col mio Nome” non sono solo immagini, ma narrazioni visive delle esperienze di persone che hanno dovuto affrontare sfide complesse. Questi scatti catturano momenti intimi e rivelatori delle vite dei partecipanti, mettendo in luce la loro determinazione nel far fronte alle difficoltà legate all’identità di genere e all’accettazione da parte della società.

Molto spesso l’accettazione di se é complessa: alcuni dei fotografi hanno rivelato come, per tanti anni, abbiano dovuto  confrontarsi con il proprio io, portando il peso di sentirsi “diversi” ma senza capirne la ragione. La scoperta di se stessi quando non ci si riconosce all interno del proprio sesso biologico é ancora più tortuosa se si pensa a come la società e i propri cari potrebbero reagire a tale rivelazione, ed ai tanti episodi di omotransfobia che avvengono ogni giorno nel mondo.

Durante l’esposizione è possibile confrontare i percorsi di persone provenienti da diversi contesti e si evidenzia, come affrontare un percorso di transizione di genere, fosse quasi impossibile ancora negli anni Novanta. Anni in cui, molte persone transessuali sono appellate con il nome di “travestiti”. Chiamati così per l’abitudine di indossare abiti e parrucche femminili seppure mantenendo caratteri prettamente maschili. Inoltre non era contemplata l’esistenza di persone biologicamente donne che non si sentissero rappresentate dal loro sesso biologico. 

Photo Louise Celada.

Negli ultimi anni, invece, sono aumentate le persone che, anche con l’ausilio della psicoterapia ma anche tramite l’utilizzo positivo dei social, sono riuscite ad esternare I propri sentimenti ed a farsi accettare dalle proprie famiglie che li hanno supportate anche in giovane età nel loro percorso di transizione. 

Tra immagini e parole: educare all’inclusione 

Oltre ad esplorare le sfide personali, “Chiamami col mio Nome” incoraggia il dialogo e la comprensione attraverso la fotografia. Spinge gli spettatori a riflettere su quanto sia importante riconoscere e rispettare l’identità di ognuno, e compie un vero e proprio processo educazionale volto all’utilizzo delle terminologie corrette per riferirsi a persone transgender e non-binary.

Sono inoltre presenti due schermi attraverso i quali vengono trasmesse le interviste ai partecipanti. Interviste che si distaccano dal semplice racconto delle loro vite e si spingono anche a tematiche spesso ritenute scomode dalla società, quali la prostituzione o l’autolesionismo.

Photo Mari.

É purtroppo un pregiudizio diffuso pensare che le persone transessuali siano dedite alla prostituzione. Ma, tramite le interviste ai protagonisti, viene chiarito come spesso (in passato, ma in alcune parti del mondo anche oggi) si trattasse dell’ unico mezzo di sostentamento di coloro che decidevano di vivere liberamente esprimendo se stessi, date le forti discriminazioni a cui venivano sottoposti dalla società e nel mondo del lavoro.

Il progetto Riscatti e la sua mission

L’ingresso alla mostra è gratuito. Ma c’è la possibilità di sostenere l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgender (ACET) attraverso l’acquisto delle opere in mostra o con donazioni volontarie. Questi fondi contribuiranno a sostenere l’importante lavoro svolto dalle associazioni coinvolte nel progetto.

Photo Seiko.

“Ri-scatti” è un progetto nato nel 2013 con l’obiettivo di promuovere l’inclusione di categorie emarginate dalla società attraverso la fotografia. Dal suo inizio, il progetto ha portato alla luce diverse storie , tra cui quelle dei senza dimora e delle persone carcerate. Oltre ad esporre le opere di queste persone il progetto da anche loro la possibilità di imparare l’arte della fotografia tramite dei corsi gratuiti, aprendo anche delle porte nel mondo del lavoro e andando effettivamente a facilitarne l’inclusione nella società. 

La mostra sarà aperta fino al 5 novembre ma, tramite i canali social, é possibile monitorare le loro attività e le mostre future. 

Photo courtesy PAC.

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Ott 31, 2023

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